Italo Portesan è un personaggio pittoresco. Dichiara prima il peso - 100 chili - poi la statura, che è sotto il metro e 70. Non è certo giovanissimo ma il coraggio non gli difetta. Quest'anno ha vissuto la sua decima Roubaix: le ha fatte tutte dal 2014, considerando che quella del 2020 è finita in soffitta per la pandemia. Qualcuno l'avrà notato sul percorso, non solo per la sgargiante maglia tricolore ma perché pedalava nientemeno che su una Graziella. «Ho fatto tre volte il lungo, quattro il medio e per tre volte il percorso corto - apre l'abum dei ricordi -. Soprattutto ho usato tutti i tipi di bici in mio possesso: da una Decathlon da 300 euro alla Ridley Fenix in carbonio. passando anche per una Bianchi del 1980 in versione Eroica, nel 2021, l'anno di Colbrelli. Per questa edizione mi ero iscritto alla 145 km, la Foresta di Arenberg è il mio tratto preferito. Purtroppo a causa di una fibrillazione atriale in corso ed essendo sotto cura non ho ricevuto il certificato agonistico ma solo quello per cicloturista. All'estero non serve il certificato ma le raccomandazioni dei medici vanno seguiti sempre. O quasi. Quindi ho corso i 70 km del corto ma per rendere più carino il giro ho usato una Graziella da 20" recuperata dalla discarica e rimessa in ordine, nonché dipinta con il tricolore. Con il movimento centrale che si svitava in continuazione è stata dura ma avendo con me una borsa dei ferri completa non ho incontrato grossi problemi a stringere il dado dopo ogni tratto di pavé. Fantastico il Carrefour de l'Arbre. L'ho fatto a palla - strizza l'occhio -, per quello che permetteva la bici...» E forse anche le gambe.
Stefano Besio ha 50 anni, è genovese ma vive in Svizzera. Per l'occasione si è avventurato sul percorso da 145 km. «Vivo all’estero da una decina d'anni e la bici mi ha permesso di mantenere il legame con il mio amico Michele, con cui condivido la passione per il ciclismo sin da ragazzo - racconta con orgoglio -. Ci siamo riproposti di fare ogni anno una Classica Monumento, così dopo la Sanremo (purtroppo senza Michele) ed il Fiandre, quest’anno siamo partiti per Roubaix. Inizialmente ero molto spaventato dall’idea di farmi male, ma ad ogni settore prendevo sempre maggiore confidenza. Alla fine ero euforico ed aggredivo il pavé con le energie rimaste. Mi ero detto: “falla una volta, poi non ci torni più”. Oggi sto già pensando di ritornarci al più presto!».
Il 58enne Stefano Calascioni ha vissuto la trasferta con la sua squadra, la Freedom Bike Viareggio. «Questa è un'esperienza bellssima, trascorsa insieme a tanti amici ciclisti provenienti da ogni parte del mondo - dice -. Corsa dura, ma con tanto cuore è stata portata a termine. Entrare nel velodromo, poi. è un'emozione incredibile e un sogno che si realizza. Lì mi aspettavano i miei primi tifosi: mia moglie Sandra e il cane Sheyla».
Emotivamente forte e anche un po' triste l'avventura in cui si è imbattuto Marco Verminetti, lombardo di 55 anni trapiantato da tempo in Sardegna. «Dopo circa 10 chilometri dallo start sono stato coinvolto in una brutta caduta unitamente ad altri corridori - ci spiega -. La funzioinalità della bici era compromessa, che fare? Provo a rialzarmi e a ripartire con la ruota posteriore in pessime condizioni, così come il deragliatore e con forti dolori al polso sinistro. Ma si sa, la prima cosa che vogliamo fare è rialzarci e ripartire. Così mi rimetto in sella ma la bici è troppo danneggiata. Percorro un'altra decina di chilometri e trovo un furgone con due persone: marito e moglie, lui è un meccanico. Pur facendo loro presente che non avevo soldi con me e senza naturalmente sapere chi fossi, mi hanno dato assistenza andando addirittura a casa per portarmi una ruota che mi permettesse di continuare la prova. Sistemata alla bene-e-meglio la bici e ringraziando infinitamente queste due magnifiche persone, promettevo loro che in serata sarei passato a riportare loro la ruota e pagare il disturbo. Settore dopo settore, col polso sinistro che peggiorava, i pantaloncini strappati e con solo due rapporti a mia disposizione, entro a Roubaix e imbocco il viale che porta al velodromo, venendo incitato da alcuni bambini. Mi si è aperto il cuore, così regalo loro la borraccia, facendoli felici. Entrato nel velodromo l’emozione è immensa come se fosse sempre la prima volta. Purtroppo durante la notte ignoti malfattori rubavano la mia bici e quella del mio amico dalla nostra autovettura parcheggiata all’interno dell’hotel, peraltro con videocamere ovunque. Però, come spesso accade, all’Inferno del Nord trovi anche persone fantastiche come Sebastien (il meccanico) e la moglie (Joelle): dopo averli contattati e riportato loro la ruota con cui senza la quale non avrei potuto continuare il mio percorso verso Roubaix, mi invitavano a cena presentandoci tante altri amici straordinari e raccontandomi tante storie ed episodi da loro vissuti durante le varie edizioni della Parigi Roubaix».