Cervinia Snow Bike Show: sembrava una cosa da pazzi! - Episodio uno

Che programma... Prendere la funivia con la bicicletta fino a quota 3.500 m, per poi scendere sulle piste da sci, il tutto nel ricordo struggente di Walter Belli, discesista tanto sfortunato quanto coraggioso. Ma in questa prima puntata parliamo anche delle impressionanti Scott Spark RC e Genius, figlie di un'ingegneria avanzatissima

In bici ai piedi del Cervino: ma è successo veramente?

Una settimana prima...

Livigno, 9 marzo 2024, ore 16.30.

Siamo sulle piste del Mottolino, nel punto più alto, a quota 2.700 m. Gli impianti stanno chiudendo. Stiamo affrontando l’ultima discesa, sulle piste non c’è più nessuno. Il cielo è cupo, sta arrivando la sera, fa molto freddo. Guardo mio figlio Filippo e gli dico: “Ti rendi conto? Tra una settimana saremo sul Plateau Rosa, ad una quota di 800 m superiore rispetto a dove ci troviamo adesso, ma un’ora più tardi. E in bicicletta! Quelli di Cervinia sono pazzi…”.

Io di questo Cervino Snow Bike Show non sapevo niente. Ma l’amico Carlo Mutti, che mi diverte chiamare Muttarone perché va sempre sul Mottarone, a metà febbraio 2024 ha divulgato questa locandina, dicendo “Io ci vado, chi viene?”. 

L’ho letta con attenzione e mi sembrava una roba assurda. In pratica si trattava di una versione non competitiva della Maxiavalanche, la downhill di massa che si svolge in luglio e in pieno sole. Qui, invece, si trattava di portare gente in bici su un ghiacciaio, a quota 3.500 m, in inverno e a ridosso del tramonto, per di più facendo pagare una quota minima di 10 euro per impianti e vin brulè, quando si sa che andare in funivia costa molto di più. Era tutto vero? Il fatto è che io trovavo sì questa cosa assurda, ma anche tremendamente affascinante, dato che adoro andare in bici sulla neve, anche se non è sempre facile. Per cui, senza starci troppo a pensare su, ho iscritto sia me sia il figlio primogenito, essendo la cosa vietata ai minori di 16 anni.

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Per me la neve è un elemento naturale della mountain-bike, come il fango, la terra, i sassi e pure l’asfalto. Ho sempre fatto giri o viaggi invernali. Qua sto terminando la scalata del Bernina, nel febbraio 1993 (foto Kô Torricelli).

Buona parte dei possessori di mtb che conosco detesta la neve, però. Per via del freddo, della scarsa aderenza o della facilità con cui ci si pianta, facendo voli pazzeschi.

La copertina del Micheloni e Soletti, lo storico manuale della mtb di fine anni 80 (interessantissimo da leggere ancora oggi) che mostra uno dei fondatori della Tucano Urbano schiantarsi su un nevaio ai piedi del Monviso.

Lo ammetto, non è un terreno facile ed è pure infido, perché muta continuamente. La volta migliore è stata quando, per festeggiare il Capodanno del 1997, venni invitato in una baita a Motta di Madesimo (SO). Una mega perturbazione aveva imbiancato tutta la Lombardia e io guidai l’auto su fondo innevato da Milano fino a Madesimo. Da lì a Motta me la feci con la mountain-bike. Subito dopo i botti della mezzanotte, per festeggiare ci facemmo la discesa sulle piste da sci, da quota 1.740 a 1.550 m. Gli amici erano con bob e slitte, io con la mtb. Mi ritrovai su uno strato di circa 30 cm di neve freschissima, sopra uno di neve dura e ben battuta. Le gomme facevano presa sul duro, mentre la neve fresca mi teneva in equilibrio. Una libidine, a livello di guidare la moto sulle dune della Libia. Ma ricordo anche un periodo in cui a Folgaria (TN) avevano riservato la vecchia bidonvia del Monte Cornetto alle sole mtb, direi intorno al 2003. Per due anni di fila io e gli amici organizzammo un week end in cui si dormiva al Rifugio Paradiso (1.650 m) e si “sciava con la bici” fino ai 1.180 m del paese. Ebbene, se una di quelle due volte fu un… paradiso, su neve farinosa che teneva benissimo, l’altra fu un disastro. La neve era spugnosa, la tenuta era pari a zero, si cascava ogni tre metri, veniva voglia di mollare la bici e affittare un paio di sci… Come sarebbe andata a Cervinia?

Ogni tanto si trova della neve perfetta: fresca, non troppo alta, in cui si riesce a galleggiare, senza perdere aderenza, pure con la bici carica di bagagli. Forte Campomolon, gennaio 2020 (foto Carlo “Baypiss” Acquistapace). 

IN ONORE DI WALTER

Non conoscendo questo evento, ignoravo che fosse stato dedicato alla memoria dello sfortunato discesista Walter Belli.

Si tratta del tipico atleta che fa dell’adrenalina il proprio lavoro

Era nato nel 1980, viveva a Bardi (PR) sull’Appennino emiliano e aveva cominciato con il trial: vantava un quarto posto ai Mondiali BIU Junior del 1997 e un terzo agli Europei BIU del 2004.

Qui lo vediamo ai Mondiali spagnoli di fine anni 90 insieme a Vittorio Brumotti (quello di Striscia la Notizia), al fratellino Diego e a suo padre Giacomo.

Tra il 2001 e il 2006 è stato costantemente tra i migliori 15 trialisti al Mondo, è stato atleta della Nazionale Italiana, ha vinto diversi titoli italiani e ha conquistato due record mondiali certificati dal Guinnes World Record: nel 2002 tuffandosi in bici da 4,55 m di altezza e nel 2008 saltando per 12 volte in un minuto tra due Hummer posti a due metri di distanza uno dall’altro.

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Le sue doti di guida lo hanno fatto entrare nel team Red Bull.

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Poi è passato alla downhill, che ha affrontato sia come atleta sia creando, nel 2010, il 360 Degrees Team Different, nel quale hanno militato anche Alan Beggin (13 volte Campione Italiano downhill) e Lorenzo Suding, cinque volte Campione italiano. 

Notate bene che Alan aveva smesso di gareggiare nel 2008, ma la sua grande amicizia verso Walter lo ha spinto a rimettersi il pettorale, dopo cinque anni di assenza, proprio perché la squadra era gestita dall’amico. Non è un mistero, infatti, che Beggin avesse mollato la carriera agonistica perché soffriva troppo lo stress e la pressione. Con il 360 Degrees ha potuto correre soltanto per divertirsi, con il clamoroso risultato che è tornato a vincere.

L’amicizia con Alan risale al 2006, quando Walter decise di partecipare a una Megavalanche peruviana, cogliendola come palla al balzo per andare a visitare Lima, la città di sua madre.

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Qui sono dalle parti di Machu Picchu. Alan è a sinistra, Walter a destra.

Nel 2013, Walter è approdato al Mondiale e, in particolare, s'è appassionato alla Black Snake, la discesa mondiale della Val di Sole disegnata dal "Randagio" Pippo Marani. Il suo arrivo ha stupito i discesisti, che non erano abituati a gareggiare contro i trialisti, ma è nata una bella amicizia anche con Bruno Zanchi, veterano di mille battaglie.

Era un ragazzo appagato. Legatissimo alla famiglia (mamma, papà e due fratelli), viveva con loro in un agriturismo sotto al Monte Barigazzo (1.287 m, sull'Appennino Parmense), ma era in procinto di sposarsi e andare a vivere a Parma. Gli piaceva vivere all’aria aperta, si era costruito un bike park per allenarsi tutti i giorni e amava salire in cima alla montagna.

Aveva anche un rapporto sereno con gli abitanti dei paesi vicini, di qualsiasi età fossero. Qui lo vediamo a Pianelleto, con le amiche Angelina e Rosa.

Un mondo crudele

Ma il mondo dell’adrenalina, se tanto ti dà, tanto ti può togliere. Il 12 ottobre del 2014, mentre si allenava in un bike park di Innsbruck, Walter è caduto di faccia, fratturandosi due vertebre e risvegliandosi dopo un mese di coma scoprendo di essere diventato tetraplegico. Non era in grado di muovere più nulla dal collo in giù, addirittura non riusciva a respirare senza l'ausilio di un macchinario e ha dovuto imparare a parlare da zero. Eppure ha avuto la forza d’animo di reagire, s’è sposato, s’è procurato una carrozzina 4x4 con la quale è tornato a frequentare i campi di gara, ovviamente non per gareggiare, ma per rivedere i vecchi amici.

Qui lo vediamo in Val di Sole, nel 2017, con un impressionante gruppo di campioni della mtb, messi insieme dal “Randagio” Pippo Marani, pioniere del gravity in Italia insieme a Stefano Migliorini (lo praticano da quarant’anni!).

Era un gruppo composto, tra gli altri, da Dario Acquaroli, David Vázquez, Oscar Saiz, Stefano Migliorini, Romano "Rommel" Favoino, Gianluca Bonanomi, Tommaso Ancillotti, Pippo Marani, Claudio Caluori, Corrado Herin, Paolo Caramellino, Bruno Zanchi e Ketty del team The Santa Cruz Syndicate.

Ma c'è anche il documentario

Sulla storia di Walter è stato girato un documentario molto toccante, che dura un’ora e parla del prima e del dopo. È sconvolgente, perché spiega benissimo la grande fatica che si fa a vivere dopo un disastro simile, ma fa anche capire quanto forte possano essere la passione e l’entusiasmo per la vita. Belli non s’è mai arreso, non ha mai perso il suo spirito guascone, nonostante i dolori, la fatica mostruosa per respirare e il bisogno di continua assistenza e cure. Questo documentario è anche il trionfo della famiglia, perché non solo i genitori si sono dedicati 24 ore al giorno a lui, ma lo hanno fatto pure i fratelli Marco e Diego, che si sono messi in aspettativa per anni. Ci sono anche gli amici: Vittorio Brumotti, Alan Beggin e Bruno Zanchi, che non l’hanno mai abbandonato. Purtroppo il film non si trova in rete, ma è un peccato, perché è una lezione molto importante su come si possa reagire a tragedie che sono dietro l’angolo, in sadica attesa, per tutti noi.

Walter non aveva neanche perso il suo spirito da leader ed era un esempio per tutti i tetraplegici. Ha deciso di raccogliere soldi per sostenere la ricerca scientifica sulle lesioni spinali, tramite l’Associazione Forza Walter Onlus che si appoggia alla Banca Popolare dell'Emilia Romagna (se volete donare: iban IT49D0538765620000002253642, swift BPMO IT 22XXX).

Triste epilogo

Ma perché parlo al passato? Il 4 febbraio 2022, Belli non ce l’ha fatta, i problemi respiratori alla fine lo hanno vinto. Ecco perché a Cervinia, dove lui aveva corso la Megavalanche, ogni anno gli dedicano questa discesa. I 10 euro minimi richiesti per l’iscrizione vanno all’Associazione Forza Walter. L’evento è organizzato da Cervino Spa (Cervino Ski Paradise), che gestisce non solo gli impianti sciistici di Breuil-Cervinia, ma anche di Valtournenche, Torgnon e Chamois.

A proposito: tra gli eventi che ricordano Walter c'è il Walter Day, che si disputa tra pochissimi giorni proprio a Bardi, nelle sue zone e sui suoi percorsi. 30 km, con varianti toste ed offerta minima di 15 euro: anche in questo caso, il ricavato andrà alla Onlus Forza Walter. 

Confesso che, dopo avere visto il documentario "La velocità perfetta", con il suo carico emotivo, fa strano riprendere a parlare della divertente discesa di Cervinia, ma è così che siamo abituati a vivere su questa Terra: le grandi gioie vanno a braccetto con le tragedie. Si fanno feste e cose belle per non dimenticare quelle brutte.

L’evento era previsto per il 16 marzo 2024. Il 9 marzo, come raccontavo, io e il figlio Filippo abbiamo sciato a Livigno, ma il giorno dopo lo abbiamo fatto ai Piani di Bobbio (LC).

Quel giorno è arrivata la stessa tempesta di vento e neve che, il giorno prima, si era abbattuta nella zona del Cervino, provocando la morte per assideramento di sei scialpinisti che non erano riusciti a mettersi in salvo. 

La tragedia è avvenuta a quota 3.500 m, la stessa della partenza della nostra discesa. Mentre congelavamo ai Piani di Bobbio, a 1.800 m, pensavo a quei morti e a come sarebbe stato andare in bicicletta a 3.500 m con il whiteout e il vento che ti prosciuga il calore corporeo. Ma da lunedì in poi il tempo migliorava e, per sabato 16, era previsto sole. Io avrei partecipato con un bel gruppetto di amici. Nove in tutto. Muttarone ha proposto un super week end: affitto di un bungalow, notturna al venerdì notte, discesona sulla neve al sabato, gita tradizionale la domenica. Altri due, però, proponevano una cena a casa loro, essendo di Ivrea, città di strada per tutti noi.

Ma ecco la doccia fredda: era previsto vento fortissimo, in quota. Così l’evento è stato rinviato al 23 marzo. Ho pensato: figuriamoci se il tempo reggerà per un'altra settimana. Cosa avrebbero fatto a quel punto? Cervino Ski Paradise aveva fissato quelle due date. Quindi, essendo il 23 l'ultima, l'evento si sarebbe fatto comunque, ovviamente con pesanti limitazioni in caso di cattivo tempo. E le previsioni parlavano di neve, in effetti, ma un'e-mail inviata a tutti i partecipanti tentava di rassicurarli: sì, venite pure, magari non saliremo fino a 3.500 m ma qualcosa faremo. Risultato: dei miei otto amici, la bellezza di cinque si tiravano indietro. I più snob erano due che decidevano comunque di prendere l'auto per venire fino a Cervinia, ma con gli sci, quindi sarebbe stato come se non fossero venuti, dal punto di vista di "Ehi amici che bello, dopo tanto tempo ci rivediamo".

Due Scott a confronto

Nel frattempo, noi due Ciaccia pensavamo che questa cosa sarebbe stata interessante per provare due biciclette, ma quali vanno bene per un evento così particolare? Le discese sulla neve sono strane, perché serve chiaramente tanta aderenza, quindi gomme tassellate da bestia se non addirittura chiodate ma, allo stesso tempo, aiutano mezzi con il baricentro basso, perché non serve avere sospensioni a lunga escursione, ma più si è vicini al suolo e meglio è. Così abbiamo pensato ad un confronto tra due biciclette Scott accomunate dallo stesso schema tecnico, ma realizzato in maniere differenti, uno per il cross country e l'altro per il trail: la Spark RC e la Genius. Si tratta di due mezzi talmente sofisticati e interessanti che è stato quasi un peccato utilizzarle soltanto per fare questa discesa: avremmo preferito averle in prova per una buona dozzina d'anni, portandocele dappertutto.

La Spark RC c'è stata data nella versione World Cup TR, che costa 9.000 euro. La gamma prevede sette allestimenti, che variano dai 4.300 euro della Comp ai 15.000 della SL TR.

Il cross country è la branca della mtb che ha subito gli sconvolgimenti più impressionanti. Negli anni 90 si era arrivati a un punto in cui sembrava che contasse soltanto il peso, per cui avevamo biciclette da 9 kg adatte soltanto a percorsi scorrevoli, troppo rigide sullo sconnesso, con lo sterzo verticale e terribili da gestire in discesa. Praticamente erano peggio delle attuali gravel... Ci sono voluti anni per uscire da quello schema tecnico e, probabilmente, a dare una mossa per realizzare biciclette meno estreme e più divertenti ci ha pensato l'istituzione del Mondiale Marathon, negli anni 00, dove si usavano biammortizzate leggere, più comode sulle lunghe distanze. La Spark RC è lo stato dell'arte di ciò che oggi è il cross country, dove non conta soltanto andare forte nelle salite scorrevoli, ma farlo anche nei terreni accidentati, sia in su, sia in giù. Abbiamo quindi sospensioni ad aria da 120 mm di corsa (e la SID di RockShox detta ancora legge!) integrate tra loro, angoli del telaio più aperti (con quello di sterzo regolabile tra 67,3° e 66,1° quando, un tempo, le xc lo avevano fisso intorno ai 71°/73°!), un attacco manubrio cortissimo con un tubo orizzontale allungato di conseguenza (secondo le intuizioni di Gary Fisher di oltre 30 anni fa). Ruote da 29" con sezione da 2,4", inconcepibili in un passato non troppo lontano. Oggi, come si sa, le geometrie moderne permettono di essere agili con cerchi da 29", mentre 2,4" un tempo era roba da downhill. Cerchi da 28 raggi anche dietro. La firma Scott si vede nell'ammortizzatore "sigillato" all'interno del telaio, per avere il baricentro più basso, una maggiore rigidità laterale e la protezione dal fango. Guarnitura monocorona da 32 denti, per risparmiare peso e cambiate pericolose, che lavora con 12 pignoni da 10 a 52 denti, per una latitudine di rapporti molto estesa. Il telaio viene dichiarato per 1.870 g completo di carro e ammortizzatore ed è in carbonio HMX, con fibre da 5 Um e spessore delle pareti di 1 mm, quindi una versione intermedia tra le HMF (High Modulus Fiber, 7 Um e 1,2 mm) e le sofisticatissime HMX-SL con resina epossidica rinforzata con nanotubo di carbonio a fibre T1000G (5 Um e 0,8 mm). Scott ha creato queste tre famiglie di fibre di carbonio, con una sfumatura di basso peso e maggiore rigidità dalla più economica alla più costosa. Già le HMF, ovvero quelle base, vengono dichiarate con un rapporto di rigidità/peso/resistenza superiore rispetto ad altre fibre di carbonio. Ma le HMX, a parità di resistenza, permettono un risparmio di peso del 14% rispetto alle HMF (e costano tre volte tanto) mentre le HMX-SL pesano l'8,5% in meno rispetto alle HMX (e il fatto che l'ammiraglia di gamma, l'unica ad avere quelle fibre, costi 15.000 euro, contro i 10.000 di quella immediatamente successiva, la dice lunga su quanto siano pregiate). Detto tutto questo, alla fine il peso della "nostra" (magari!) Spark RC è di 12,1 kg completa di pedali flat (sulla neve non ci piace usare gli automatici, perché si infila negli ingranaggi, si comprime, ghiaccia e il pedale potrebbe bloccarsi con noi attaccati, cosa che infatti c'è successa un sacco di volte). Un tempo, nessun cross countrysta avrebbe mai accettato di correre con una bici da 12 kg, neanche a un campionato parrocchiale. Ma i tempi cambiano, per fortuna. S'è capito che, oltre al peso, contano anche altre cose. E Scott ha ideato questa belva con l'idea di realizzare la migliore bicicletta da cross country agonistico. Chissà cosa sarebbe successo se a Thomas Frischknecht fosse stata data una Spark RC, ai tempi in cui vinceva le Coppe del Mondo con la Ritchey rigidissima da 9 kg? Va però detto che i percorsi di oggi sono più tecnici.

Per quanto riguarda la Genius, ci hanno dato la top di gamma, la 900 Ultimate, che costa 10.000 euro e applica gli stessi principi della Spark RC, ma anabolizzati, per andare meglio in discesa: è una trail, infatti. Quindi sospensioni con maggiore escursione, posizione di guida più rilassata, freni più potenti, ecc.

Anche le trail si sono evolute, se consideriamo che le escursioni alla ruota di questa Genius - 160 mm all'avantreno e 150 mm al retrotreno - erano abbinate a geometrie poco pedalabili in salita anche quando avevano smesso di appartenere alle pure downhill, ma erano passate alle enduro. La Genius top di gamma non ha il carbonio SL, ma è lo stesso HMX della Spark. Concettualmente, come dicevamo, le bici sono uguali, quindi anche qui abbiamo l'ammortizzatore sigillato, l'attacco manubrio cortissimo integrato nella piega, l'angolo di sterzo regolabile, gli stessi rapporti (32 davanti, 10-52 dietro 12V) ma la maggiore escursione comporta uno snodo in più nel carro posteriore, laddove sulla Spark ci si affida alla flessione della fibra di carbonio. Alla fine, la differenza di peso non è così elevata, rispetto alla sorellina da xc: telaio+carro+ammortizzatore pesano 2.295 kg, mentre la bici completa viene 13,3 kg con i flat. In salita va peggio se devi vincere le gare ma, se stai facendo epiche gite con panorami da paura e discese memorabili, questa bicicletta è davvero efficiente.

La presenza di una sospensione posteriore più massiccia ha comportato l'adozione di un telaio più... "cicciotto" nella zona del movimento centrale. Ciò ha tratto in inganno tre persone che, in momenti diversi, ci hanno fatto battute sul fatto che fossimo con una e-bike. In effetti, sembra che là dentro ci sia un motore: le e-mtb sono sempre più magre e somiglianti alle muscolari, per cui arriviamo al paradosso di scambiare una muscolare per una e-bike...

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Da un quarto di secolo, se pensi alla migliore bicicletta da xc è facile che tu finisca per equipaggiarla con una forcella SID di RockShox, ovvero quella che ha vinto più gare mondiali di qualsiasi altra. Leggera, rigida, efficiente, rigorosamente ad aria (DebonAir). Quindi sulla Spark RC non poteva che finirci una SID. Si tratta della Select+ 3P da 32 mm, con regolatore di compressione a tre posizioni (3P) e corsa portata a 120 mm. Utilizza il lubrificante Maxima Plush per ridurre l'attrito. Pesa 1,4 kg e di listino costa sugli 850 euro.

Detto ciò, con la prima puntata la finiamo qua.

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