di Mario Ciaccia - 19 March 2024

Rifugio Venini, la Norvegia a 90 km da Milano - Episodio Tre

La rampa finale per il Venini, dal Passo Boffalora al rifugio, è una delle strade più spettacolari della Lombardia

Eccomi, questa è la puntata finale, quella in cui si arriva in vetta. Come ho già detto in Puntata Due, mi fa impressione scrivere di questa salita ai primi di marzo, dopo che l’abbiamo fatta nel febbraio 2024, in piena siccità, senza neve, con temperature elevate visto che, subito dopo, è arrivata un’ondata di freddo che è durata tre settimane, portando un sacco di neve.

Dunque, mancano gli ultimi 4 km di salita per il rifugio Venini e, come dicevo in Puntata Due, sono i più panoramici. La pendenza media è del 9% e la salita è costante. Da un certo punto in poi è cementata.

A quota 1.300 m, dopo l’unico tornante, c’è l’Alpe d’Ossuccio, dove in estate allevano capre. Categoria becchi? Non lo so, non me ne intendo. Ma in inverno è chiusa, niente caprette.

Già da qui il panorama è superbo, perché non c'è bosco e si vedono le montagne che sovrastano il Lago di Como senza schermi. Ma la prospettiva è bizzarra, come capita spesso in montagna. Siamo a metà del Lago di Como, all'altezza dell'incontro dei tre rami (Como-Lecco-Colico), ma sembra di essere più a sud di certe montagne che si trovano a sud est.

Grazie all'assistenza elettrica, la salita passa via senza problemi e senza troppa fatica.

All'arrivo, le sensazioni sono confuse. Con una bici muscolare, quando arrivi in cima a una salita provi una gioia esplosiva: è una liberazione, ti senti un figo, provi momenti di pura e assoluta felicità. Mentre, per arrivare fin lì, specie se non sei allenato, hai patito le pene dell'inferno, hai dovuto succhiare ogni linfa vitale dal tuo fisico, la tua mente ha dovuto lavorare duramente per domare il corpo e per convincersi a non mollare il colpo. Sono le due facce del ciclismo muscolare: mentre lo fai soffri, quando arrivi sei al settimo cielo. La e-bike funziona al contrario. Mentre sali fai una fatica moderata, piacevole, del sano esercizio fisico. Chi equipara le e-bike agli scooter è un idiota (e sono tanti). Ma, all'arrivo, non provi quell'esplosione di gioia di cui parlavo prima. Non hai mai dubitato di farcela, non hai mai avuto momenti di disperazione. Ѐ interessante anche vedere come si viene percepiti dal prossimo. Al Venini puoi mangiare al chiuso o all'aperto. I tavoli sono piazzati al di qua e al di là della strada sterrata, per cui quando arrivi sfili come all'arrivo della Milano-Sanremo tra due file di gente che mangia pizzoccheri e stinco con la polenta. Se sei in moto, vieni percepito come uno che si sta divertendo. Se arrivi con la bici muscolare, sei un eroe, ti sei fatto un culo a capanna e ti ammirano tutti. Se sei a cavallo di una e-bike, sei un furbetto, "ma così son capaci tutti", "eh, non vale", "ti piace vincere facile". Se ci pensate, è un'aberrazione. In teoria uno dovrebbe pensare: "Questo voleva vedere un bel paesaggio, guidando un veicolo divertente". Il non avere sputato sangue suscita indignazione, perché c'è questo pensiero, radicato nei secoli, che se inforchi una bicicletta devi soffrire. Se non lo fai, sei un imbroglione.

Niente cani?

Detto ciò, siamo sconvolti da quello che vediamo una volta su. Credevamo che il Venini fosse chiuso, sepolto da metri di neve. Se anche fosse stato aperto, ci saremmo aspettati di vederlo vuoto. Ci siamo stati tante volte, tra maggio e novembre, trovandolo sempre vuoto. C'è un gestore molto simpatico, con la barba, che mette su musica rock ultraclassica. Ha tre splendide femmine di bracco.

Questa volta il gestore non c'è, o almeno non si fa vedere. Il rifugio è strapieno di gente, non l'ho mai visto così. Alcuni sono in piedi, hanno prenotato ore prima per mangiare all'interno ma non sono stati ancora fatti accomodare. Ci sono tre giovani che servono e sono chiaramente sotto pressione. La ragazza adotta la tattica della faccia di marmo, per cui se le domandi qualcosa (tipo quanto c'è da aspettare) tira dritto e fa finta di non averti né visto né sentito. Ma ci sta: a questi livelli di affollamento, è una questione di sopravvivenza. I due ragazzi invece riescono ancora ad essere gentili ed efficienti, per cui dopo un po' riusciamo a sederci a uno dei tavoli all'aperto.

I due ragazzi si scusano per l'attesa e ci spiegano che non si aspettavano tutta questa gente in una domenica di febbraio. Non erano neanche sicuri di avere cibo a sufficienza per tutti. Ci è andata bene, dai. Ed io sono contento, perché vengo qui da anni. Lo considero uno dei rifugi migliori delle Alpi, per la posizione panoramica e la gentilezza dei gestori.

Bene! Siamo arrivati in vetta e abbiamo mangiato i pizzoccheri, quindi il racconto finisce qua? No, perché la strada sterrata prosegue oltre il rifugio e prosegue in costa sui fianchi del Monte Tremezzo, per raggiungere le trincee della Linea Cadorna, di cui parlavamo in Puntata Uno.

La discesa è strana. La facciamo su Pigra perché è la più veloce e perché, scendendo, il burrone è dalla parte opposta. Il tracciato sembra tosto - poche curve e una media del 9% per i primi 4 km - ma non si riescono a raggiungere grandi velocità. L'asfalto è rovinato, poi c'è molta gente che scende a piedi. Sono quelli che hanno lasciato l'auto a Boffalora e che usano, come sentiero pedonale, una strada asfaltata. In teoria non dovrebbero stare in mezzo, essendo questa aperta alle automobili, ma in fondo chi se ne frega, stiamo passeggiando tutti. Per cui, quando li raggiungiamo, non urliamo PISTA! PISTA! ma freniamo e li superiamo piano. Nonostante noi si sia chiaramente dalla parte della ragione e non stiamo lamentandoci, in un gruppo di gente a piedi qualcuno non gradisce il nostro passaggio e si lamenta: "Eh, queste e-bike...". Ci restiamo di cacca: se fossimo scesi con le muscolari non sarebbe cambiato nulla, ma sarebbe stato zitto, immaginiamo.

Nell’articolo della precedente salita, il Muro di Sormano, avevamo iniziato il racconto con la traversata di un paesino medioevale di montagna, Caglio. Qua, invece, il borghetto delizioso compare alla fine, o quasi, della gita. È Pigra, posto su un ripido pendio a 900 m.

Questa è la chicca finale del nostro anello. Per tornare a Castiglione Intelvi ci sono 8 km a saliscendi. Ci sarebbe un lavatoio antico a cui dare un’occhiata, ma è transennato per lavori di restauro. Va bene, la gita è stata bella lo stesso.

© RIPRODUZIONE RISERVATA